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Galeazzo Ciano, “A me la gloria”: chi era il fascista pentito che pagò con la vita la rivolta a Mussolini

Galeazzo Ciano, “A me la gloria”: chi era il fascista pentito che pagò con la vita la rivolta a Mussolini

Il nuovo libro

L’amore per Edda, tra calcolo e sentimento autentico, gli eccidi di abissini salutati come trionfi, la rapida ascesa e poi la fi ne, fucilato alla schiena. La fi gura controversa del genero di Mussolini

Galeazzo Ciano, “A me la gloria”: chi era il fascista pentito che pagò con la vita la rivolta a Mussolini

A chi la gloria? “A noi!” rispondevano in coro i fascisti. E nel 1930 la gloria era merce preziosa. Si diceva che i ragazzi morti in trincea nella grande guerra si fossero ricoperti di gloria e di onore sui campi di battaglia anche se, probabilmente, loro avrebbero preferito vivere una vita semplice nei campi coltivati a grano. Nel 1930 la grande guerra è ormai lontana ma gli effetti della gloria ricadono sui vivi.

Ne sa qualcosa il giovane Galeazzo Ciano, figlio di Costanzo, che grazie alla gloria conquistata dal padre in guerra, si era trovato a vivere nella ricchezza oltre che il titolo di conte di Cortellazzo che apriva molte porte della gerarchia fascista e dei palazzi della nobiltà romana dove incontra la giovane Edda Mussolini. Anche Lei ricoperta di gloria riflessa. Diventeranno la coppia più conosciuta e invidiata del Ventennio. Mimmo Gangemi scrittore agile, creativo e mai monocorde ci ha abituato alle sorprese passando da La Signora di Ellis Island al Giudice meschino, fino a L’atomo inquieto. Oggi colloca la sua modernissima “cinepresa” all’interno della famosa coppia Ciano-Mussolini e da questa postazione unica e privilegiata focalizza fatti e protagonisti d’un periodo importante della nostra storia nazionale che parte dai primi anni Trenta del secolo scorso per concludersi nella cupa tragedia di Salò. Fu vero amore quello tra Galeazzo e Edda?

All’inizio ci fu certamente calcolo soprattutto da parte di Lui ma, secondo lo scrittore calabrese, non fu solo calcolo dal momento che sono evidenti le prove di amore, attrazione e complicità che hanno consentito al matrimonio di reggere ai reciproci tradimenti e, successivamente, all’assalto della storia. Mimmo Gangemi sposta l’ obiettivo sui principali protagonisti del Ventennio fascista iniziando dal Duce, prigioniero della sua stessa propaganda su una sua presunta dote di infallibilità mentre in effetti era un divoratore cinico e insaziabile di gloria da conquistare sugli immani sacrifici del popolo italiano. La telecamera scorre sulla mediocrità dei gerarchi rimasti primitivi, rozzi e violenti anche se lo scrittore non fa di tutta l’erba un fascio e infatti sente il bisogno di focalizzare le personalità certamente più complesse di Italo Balbo, di Dino Grandi, di Bottai (nonostante le leggi razziali) e finanche di Ettore Muti e di Pavolini.

Poi l’obiettivo torna su Ciano, cinico accaparratore di gloria facile conquistata dai cieli di Abissinia in incursioni aeree contro masse di “negri” disarmate e sterminate senza correre alcun pericolo ma che venivano trasformate in imprese eroiche dalla radio e dai giornali di regime. Cresce la gloria del genero del Duce e si spalancano le porte del potere sino ai più alti gradi della gerarchia fascista e del governo italiano. Malgrado il prestigioso incarico di ministro degli Esteri non riuscirà a condizionare la sciagurata scelta del Duce di stipulare il “patto d’acciaio” con la Germania. Non lo condivide ma lo approva pur di restare nelle morbide braccia del potere. Poi il vento cambia e scoppia la bufera. Il duce, convinto di avere un fiuto eccezionale contro tutto e contro tutti porta l’Italia in guerra a fianco della Germania nazista. Ciano mugugna sottovoce ma sostanzialmente resta in silenzio così come aveva sempre fatto. Un silenzio tutto sommato comodo ma che non può essere eterno. Dopo i primi successi dell’asse, le sorti della guerra cambiano e i giovani soldati italiani, male armati e molto spesso male comandati da uno Stato maggiore composto nella stragrande maggioranza da generali incapaci e felloni, muoiono sui fronti di guerra. Le città subiscono i bombardamenti, la fame imperversa. Ciano non può restare in silenzio e cerca una via di uscita dalla guerra e dal fascismo.

Vuole salvare se stesso e la sua famiglia e forse, ma in seconda battuta, anche l’Italia dall’immane tragedia della guerra. Pensa di averla trovata stabilendo rapporti con la Casa Reale e firmando l’ordine del giorno Grandi. In pratica la sfiducia a Mussolini senza però immaginare le conseguenze di quella firma sul regime e su se stesso. Ora Ciano è solo e proprio in simili momenti Giangaleazzo, Edda e i figli si scoprono famiglia. Sono una scialuppa che deve navigare contro vento. Edda si trasforma in una rematrice eccezionale contro tutto e contro tutti, se necessario, anche contro il padre pur di salvare la sua famiglia e il padre dei suoi figli. La gloria non serve più. Chissà se Ciano, rinchiuso nel carcere di Verona avrà avuto il tempo di riflettere sulla inutilità della gloria, chissà se ha provato rimorso per i neri disarmati uccisi in Abissinia, per la persecuzione degli ebrei, per gli antifascisti uccisi o rinchiusi nelle carceri.

Fuori Edda lotta come una leonessa, pensa ancora che il duce si comporterà da padre e da nonno ma deve prendere atto che l’uomo che tanto aveva adorato, stimato ed amato si era trasformato in un ridicolo burattino nelle mani del Fuhrer. Edda non esita a contrapporsi al padre pur di salvare il suo uomo che scopre di amare e sente di non poterne fare a meno. E forse proprio ad Edda e ai figli Giangaleazzo pensa nel momento in cui si gira dinanzi al plotone di esecuzione. Non vuole essere fucilato alla schiena, pensa di non meritarlo. Non è un traditore. Ma non pensa più alla gloria ma piuttosto agli anni che Edda e i suoi figli dovranno restare al mondo e non vuole che sentiranno il peso del suo cognome. Nei momenti tragici trascorsi nel carcere degli Scalzi di Verona Giangaleazzo scopre di amare intensamente Edda e ai suoi figli. Ma ormai è tardi. La storia aveva schiacciato l’intera famiglia come un insignificante guscio di noce.. Con “A chi la gloria” edito da Solferino, Mimmo Gangemi conferma la sua eccezionale bravura, il suo essere scrittore di razza, le sue notevoli capacità di ritornare su una storia conosciuta per rintracciare aspetti sfuggiti agli storici, chiaroscuri familiari che si riflettono sulla grande storia. Che altro dire? Meriterebbe il “Premio Strega”?

l'Unità

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